Posts made in luglio, 2016


Nei locali del Museo Archeologico del Casentino “Piero Albertoni”, con le suggestioni della quinta scenografica della mostra fotografica di ALDO PALAZZOLO “Al tempo quando non c’era il tempo” (di seguito ancora immagini dell’inaugurazione del 9 luglio),

dal 21 al 24 luglio 2016 si svolgerà Casentino-Classica-BibbienaCASENTINO CLASSICA alla cui organizzazione ha aderito anche Milleforme. Casentino Classica è un’idea semplice ma concreta, che sorge con naturalezza dal desiderio di dar vita ad un salotto musicale in Casentino. Consiste in una serie di quattro concerti, tutti ad ingresso gratuito ed alle 20,00.

Casentino Classica accoglie formazioni da camera provenienti dalle più prestigiose Istituzioni musicali italiane quali l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Accademia “Incontri col Maestro” di Imola e la Scuola di Musica di Fiesole. Casentino Classica rivolge grande attenzione a giovani concertisti che hanno intrapreso una carriera brillante, già colma di importanti riconoscimenti.

PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE

DUO MANSUETO VENEZIA (21 luglio 2016)Venezia Mansueto

Il Duo Mansueto Venezia, formato dal violoncellista Roberto Mansueto e dal pianista Vito Venezia, nonostante la giovane età dei componenti è già una realtà del concertismo nazionale. Nato tra la Scuola di Musica di Fiesole e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Duo Mansueto Venezia si è perfezionato con Luigi Piovano, Tiziano Mealli, Carlo Fabiano, Alfonso Ghedin e il Trio di Parma. Roberto e Vito, da anni in carriera e già vincitori di prestigiosi concorsi, si esibiscono anche come solisti e in altre formazioni cameristiche. Il Duo è ospite di emittenti radiofoniche e di importanti sale e stagioni concertistiche.

TRIO DI IMOLA (22 luglio 2016)trio di Imola

Il Trio di Imola si è costituito nel novembre del 2015 da un’ idea del Maestro Nazzareno Carusi nell’ambito del corso di Musica da camera tenuto dallo stesso presso l’Accademia Pianistica “Incontri con il Maestro” di Imola. Del trio, Carusi ha affermato: “Sono tre ragazze che sommano a una grande bravura tecnica una ancora maggiore musicalità. Se continueranno così e resteranno tra di loro le amiche affezionate che sono oggi, il mondo della musica avrà un nuovo e straordinario Trio”. Il Trio di Imola ha ottenuto, nel 2016, il primo premio al Concorso Internazionale “Città di Rimini”.

QUARTETTO TAAG (23 luglio 2016)Quartetto

Nasce nel 2011 a Torino e nonostante la giovane età ha già ottenuto diversi riconoscimenti come il primo premio SVIRÉL 2016 e il premio dedicato a Piero Farulli al Premio Crescendo 2015. Attualmente si perfeziona presso la Scuola di Musica di Fiesole con Miguel Da Silva, Antonello Farulli e Andrea Nannoni.

TRIO DMITRIJ (24 luglio 2016)

Costituitosi nel 2007, il Trio Dmitrij si é perfezionato con il Trio di Trieste presso il “Collegio del Mondo Unito” di Duino, Trio Dmitrijcon il Trio di Parma presso la Scuola di Musica di Fiesole, con Piernarciso Masi presso l’Accademia di Fusignano e con Carlo Fabiano presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Vincitore del III premio (con primo non assegnato) al Concorso “F. Cilea” di Palmi, il Trio Dmitrij svolge intensa attività concertistica per svariate associazioni in Italia e all’estero. Recentemente ha inciso l’integrale della musica da camera di Liszt per l’etichetta milanese M.A.P. Il Trio Dmitrij è regolarmente invitato a tenere masterclass di musica da camera presso il Conservatorio Nacionàl “F. Guerrero” di Siviglia.

Dopo ciascuno dei concerti avrà luogo la cena con l’artista, un momento conviviale in occasione del quale il pubblico e la stampa hanno la possibilità di incontrare i protagonisti di Casentino Classica. Presso il giardino del Museo Archeologico del Casentino, a cura delle attività di ristorazione del Centro Storico di Bibbiena.

Sono anche previsti, a cura del Maestro Vito Venezia, direttore artistico della rassegna, tre giorni di lezioni aperte a giovani pianisti residenti in Casentino. Un’occasione per condividere la propria esperienza di fare musica attraverso gli 88 tasti. La frequenza delle lezioni è gratuita ed è possibile avere le necessarie informazioni rivolgendosi a [email protected] o consultando il bando su www.vitoveneziapianist.com

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Splendida serata quella del 9 luglio presso il Museo Archeologico di Bibbiena, per l’inaugurazione della mostra di Aldo Palazzolo “Al tempo quando non c’era il tempo”. Una serata ricca di suggestioni e molto partecipata, con una efficace introduzione di Elisabetta Gangi (presidente di Milleforme), arricchita dalle letture dell’attrice Emma Cardillo, dalla chitarra del Maestro Carlos Alberto Barbato, e conclusasi con il magistrale concerto dei Valle Santa Corde. Di seguito riportiamo alcune immagini della serata (foto di Giancarlo Gonnelli) e alcune note critiche (Giovanni Carbone)sull’esposizione.

EROS (La Genesi)

Se non c’è dubbio che tutto iniziò dall’Eros (se Eva avesse mangiato il serpente anziché la mela…), è anche vero che la sua ricerca è diventata ossessione e non fluida riscoperta dell’essenza stessa dei viventi, gesto semplice e naturale. Al contrario, l’Erotismo viene spesso derubricato a pratica immorale, lì dove invece è stata la fonte cui si sono abbeverati poeti ed artisti d’ogni epoca e luogo, o sostituita dall’esasperazione del motto, assai poco aulico, ogni lasciata è persa, surrogandone, in definitiva, il ruolo di riscoperta minimalista della sua essenza primordiale ed istintiva, delicata poesia di sensi, ad una kermesse di sovrastrutture, tacchi a spillo e cortisone compresi.

Nelle immagini della serie Frammenti di Marmo, Aldo Palazzolo, invece, si rivolge nuovamente a un Eros genetico, a quell’essenza perduta e sepolta dalla mondanità corrotta delle sovrastrutture, lo ritrova nella semplice e vertiginosa nudità delle forme. Continua, dunque, in una sorta di staffetta ideale, l’opera di recupero della materia primordiale, della forma nascosta, in parte già denudata degli eccessi materici di cave pregiate, da grandi estrattori di poesia umana, dai blocchi di marmo. 13524466_1074293895982159_2867248082993575148_n

Palazzolo, com’è aduso fare, non scatta per scattare, non ha tempo da sottrarre alle pigrizie del Sud, va giustappunto all’essenza, interrogando i marmi circa il pensiero di quei creatori che li hanno liberati, secondo modalità e prassi michelangiolesche, dall’involucro di materia morta, restituendoli alla vita; in questo compie ed esalta nel contempo il gesto erotico definitivo che solo può essere nella scoperta. Interrogando i marmi, con l’occhio obiettivo del ricercatore, deduce, e forse scopre, al di là d’ogni ragionevole dubbio, il nucleo fondante del pensiero antico che ha generato quella vita di pietra. Una vita che, oltre il pensiero della forma minimale da cui si è generata, è occultata da sovrastrutture, appunto, come certi vini del sud, serviti allungati con la gazzosa perché troppo difficili da buttar giù per corpo ed eccessiva adesione organolettica a terre aspre.

Palazzolo dunque denuda il dettaglio primigenio, individua in esso il nucleo generatore dell’opera, lo libera da ciò che non serve, dal tutto intorno da cui fu imprigionato dal benpensantismo che ad ogni epoca il declinante – per definizione – impero, impone all’umanità, perché non riscopra in sé, nella propria viva carne, ciò di cui ha veramente bisogno. Poi lo rende, in forme inequivocabili, annullando distanze temporali e aggiungendo il vuoto intorno, che non crea equivoci, ma che proietta in una dimensione immaginifica e sorprendentemente condivisa chi si trova al cospetto di quell’immagine.

THANATOS (Post Human)

Il potere più affascinante di una camera è quella certa proprietà trascendente di conservazione dell’anima, anche quando non c’è più il suo simulacro. Andrè Bazin

È nel gesto intriso di pietas della Veronica a ricoprire il viso martoriato del Cristo, che si cela il primo scatto fotografico, il primo sviluppo e con esso, la prima resurrezione.

Nel concretizzarsi di quel sogno d’immortalità donata, nell’imprimersi di un volto, di un’immagine che riprende vita nella camera oscura del tempo, c’è tutta la tecnica più evoluta, oltre alla volontà del gesto; altro che megapixel e photoshop… c’è un atto istintivo che procrastina la narrazione del ritratto all’infinito, come in un clic, il clic definitivo. Mummie-Savoca-copia

Il desiderio profondo di sopravvivere a se stessi, prolungando il proprio corpo al di là d’ogni barriera temporale, esorcizzare la caducità di un’esistenza in forme biochimiche sostituendola con l’essenza della pietrificazione che, scarnificando il bio, salva l’immagine e con essa la volontà d’aggrapparvisi in eterno, è cosa da pazzi, ma anche assai diffusa, dai faraoni a Faust, dai corredi funebri a Dorian Gray.

La pazzia di essere eterni è del Re, dell’Imperatore, del capo in quanto tale; il miserabile non vi aspira, prende quel che c’è, non vuole un monumento alla sua sciagura, non vuol diventare un Prometeo incatenato, gode delle pause in cui l’aquila è lontana semmai, e non banchetta con la sua carne viva; s’approfitta di quel che viene, pretende al massimo poco più, serene esistenze ad esempio, anche brevi s’è il caso, altro che vite eterne.

Che fine ha fatto Baby Jane? è invece roba da giorni nostri, da maquillage dovuti e ricercati, perché si nasconda la cosa più vera: che, in definitiva, ci apparteniamo per poco più di uno sbadiglio.

Palazzolo, che nemmeno nei più audaci voli pindarici riesce a rassomigliare alla Veronica, quando scende nella cripta dei Cappuccini di Savoca, fa una semplice operazione, chiude il cerchio. Illustra l’illustrazione, amplifica e mette il Re a nudo, denuncia la pazzia di conquista dell’eterno, mostrandoci il volto tumefatto e scarnificato del tentativo fallito. Chiude il cerchio, dico, di un giro ampio che dura millenni, dal lenzuolo della Veronica, che voleva in realtà nascondere l’orrore del martirio per preservare la bellezza della memoria, ottenendo l’opposto paradossale, il martirio post-mortem, la tecnica brutale che precede la tragica consapevolezza della morte dell’immortalità.

È dunque un cerchio chiuso, il tempo dell’immortalità, un cerchio che è la dimensione di ciò che si può spezzare, proprio come quelli incisi sulla sabbia da Archimede, a due passi da dove Palazzolo è nato, ucciso dalla barbarie per essersi distratto in una formula geometrica, per essere rimasto in contemplazione del giro perfetto. Il cerchio chiuso, dunque, la metafora di come le cose degli uomini possano essere mirabilie poetiche, maraviglie ed armonie in forme perfette, frutto esclusivo della ricerca del bello, ma che poi si trasfigurano nel potere e nel possesso e nella conseguente maledizione di portarseli dietro per sempre, in un’orgia di devastazione e di corruzione che quel cerchio spezza, definitivamente, nel semplice tempo d’un batter di ciglia.

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